Trieste, 10 feb - "Una ferita sanguinante, che solo la buona
volontà e un senso più alto e potente del nostro essere umani ci
aiuterà a trasformare in insegnamento e monito perpetuo".
Con queste parole la presidente del Friuli Venezia Giulia Debora
Serracchiani ha voluto ricordare oggi a Trieste - "capitale
morale dell'Esodo", ha detto - il Giorno del Ricordo nel corso
della cerimonia al Palazzo del Governo di piazza Unità d'Italia,
alla presenza del presidente del Senato Pietro Grasso, con la
partecipazione del vicepresidente del Consiglio regionale Paride
Cargnelutti, del prefetto Francesca Adelaide Garufi, della
presidente della Provincia e del sindaco di Trieste, Maria Teresa
Bassa Poropat e Roberto Cosolini, degli assessori regionali
Francesco Peroni e Gianni Torrenti.
"Conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte
le vittime delle foibe, dell'esodo forzato dalle loro terre,
diffonderne la conoscenza presso i giovani attraverso la scuola e
ogni presidio educativo rappresenta un solo parziale risarcimento
per i lunghi decenni durante i quali l'oblio e la rimozione erano
l'indirizzo cui si attenevano anche le istituzioni repubblicane",
ha sottolineato la presidente del Friuli Venezia Giulia, regione
che "più di ogni altra ha conosciuto e condiviso la tragedia
dell'Esodo istriano, fiumano e dalmata; che tiene alto il
testimone di un obbligo storico, civile e morale che ci lega
strettamente alle nostre genti dell'Adriatico orientale e alle
loro sofferenze".
"E' giusto riconoscere senza esitazioni o riserve che gli esuli
istrodalmati furono gli italiani che pagarono il prezzo più alto,
perché il loro sacrificio non fu contato solo in vite strappate,
in focolari e terre perdute, in tombe per sempre abbandonate. Più
duro fu l'oltraggio di un'Italia vergognosa dei sui figli
fuggitivi, più acre fu l'insulto di un'accoglienza talvolta
ostile, più umiliante fu il subdolo negazionismo che talora
riemerge".
"Le foibe furono troppo a lungo una parola che ha diviso - ha
rilevato Serracchiani - quasi che quei poveri corpi lacerati
potessero essere misurati o pesati sulla bilancia delle ideologie
che nel Novecento hanno trafitto il cuore d'Europa. Nessuno osi
più mettere in dubbio la natura di quel misfatto, nessuno ne
revochi in discussione l'impronta, tutti abbassino il capo
dinanzi a quelle voragini in cui furono precipitati tanti
italiani ma anche croati, sloveni, partigiani monarchici,
militari tedeschi, religiosi cattolici. Un delirio in cui non
mancarono di insinuarsi le occasioni per regolare anche conti
privati".
Ricordando la foiba di Basovizza (oggi la presidente si è recata
a rendere omaggio sia alla foiba di Basovizza sia al monumento
all'Esodo in piazza Libertà) come "simbolo di un orrore che non
va cancellato o banalmente superato", Serracchiani ha quindi
osservato come "in tempi in cui la parola d'ordine era
dimenticare, ci fu chi conservò la memoria dei luoghi del dolore:
è merito anche della tenace e a lungo oscura opera resa dalle
Associazioni degli Esuli se quel luogo ha avuto una degna
consacrazione. Ma è tutto il popolo dell'Esodo che deve essere
ringraziato, per la forza con cui tante famiglie seppero
silenziosamente ricostruirsi le loro vite, anche affermandosi nel
mondo, spesso nelle nuove terre verso cui migrarono alla ricerca
di miglior fortuna".
"Sappiamo che fu un percorso difficile, quello che intrapresero
gli italiani d'Istria, di Fiume e della Dalmazia, dopo essersi
lasciati alle spalle beni e speranze. Furono velate dal pudore le
tappe più tristi. Il nostro ricordo sia dedicato anche agli anni
consumati e alle giovinezze sbocciate in quei luoghi, ancora
troppo poco conosciuti, dove interi nuclei familiari hanno
vissuto nella promiscuità di pochi metri quadrati: i centri di
smistamento e i Centri raccolta Profughi, il Silos a Trieste, via
Pradamano a Udine, il campo di Padriciano sul Carso, i tanti
luoghi simili in tutta Italia".
Su questa tragedia il "clima nuovo, una nuova consapevolezza"
venne raggiunta nel 2004 dall'approvazione a larghissima
maggioranza della legge istitutiva del Giorno del Ricordo:
"vorrei guardare a quel momento come a una manifestazione di alta
responsabilità politica, in cui si è saputo e voluto guardare
alla sostanza delle cose e al buon diritto, prima che
preoccuparsi di marcare le differenze".
Un atto istituzionale che "la Repubblica Italiana ha compiuto
rendendo giustizia a un male subìto dai suoi figli. Credo che,
nella luce nuova e più limpida proiettata dall'Europa sulle terre
di quello che fu il confine orientale, dovrebbe essere possibile
auspicare una condivisione da parte dei Paesi vicini e amici.
Tutti ebbero le loro vittime innocenti, e forse soffermarsi
assieme su una dolorosa memoria comune potrebbe essere occasione
di un'ancora più stretta condivisione del futuro".
"Certo, per molti che hanno vissuto l'Esodo sulla pelle, capisco
che è difficile sentire appelli di riconciliazione. Le esperienze
vissute e le ferite dell'anima individuale non sono freddi fatti
storici, né fasi oggettive da cui si possa prendere congedo con
atti di volontà. Io che non voglio perdere la speranza nel dono
soggettivo della pacificazione interiore, mi inchino con rispetto
- ha affermato Serracchiani - a quanti hanno vissuto i soprusi,
le violenze e l'esilio per il loro essere Italiani, e che sono
ancora tra noi pulsanti e preziosi testimoni: essi sono il
Ricordo in carne e ossa", ha concluso la presidente.
ARC/RM